Fausto e Iaio: due ragazzi



"Sai, Iaio, quando mi sei tornato davanti agli occhi, fisicamente? Sentendo un pezzo dei Rolling Stones. Ti ho rivisto ballare una sera al Leoncavallo. Si erano riaccese le luci, ma tu continuavi, scuotendo la testa, i capelli, con la camicia marrone fuori dai pantaloni, sulla maglietta. Poi eri venuto in radio, al di là del vetro, col naso schiacciato. Ridevi. Sorridevi. E sceglievamo la musica in silenzio, frugando per trovare quella "giusta". È buffo, no, con i Rolling Stones? È l'imperialismo, musica decadente. Un po' di confusione.


Quando c'è stato il convegno sull'arte di arrangiarsi, eri un po' scazzato, ma non l'avevi presa male. Il Leoncavallo ti piaceva di più. Un po' più disadorno, ma si ballava, e poi c'era del bel blues. Altra musica. Ma non abbiamo mai cantato l'Internazionale insieme. Non mi sembra ci sia mai stato bisogno, o l'occasione. Non era una musica che ti stava bene addosso.


Avevi ancora una crosta sul naso stamane, sai? T'hanno messo proprio in un brutto posto, freddo, c'era troppo raso bianco. Neppure il raso ti andava bene. I fiori, si. La crosta sul naso, una crosticina, e i capelli tirati indietro sulla fronte.La fronte non l'avevo mai vista. Un indio. Un bellissimo indio con le labbra grosse, proteso in avanti, con gli occhi gentili".



Da "Fausto e Iaio. La speranza muore a diciotto anni" di Daniele Biacchessi

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