5 Maggio: ode a un presidente imperatore


Ei fu. Siccome immobile, dato il coniugal sospiro, stette il "papi" immemore orbo di tanto spiro, così percosso, attonito il tg4 al nunzio sta, muto pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di pie' mortale la sua villa certosa a calpestar verrà. Lui folgorante in solio vide la velina e giacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse, mai tacque, di mille voci al sònito mista la sua sempre ha: mai vergin di servo encomio e del codardo omaggio, sorge or commosso al sùbito sparir di qualche paggio; e scioglie per l'urna un cantico che forse pagherà. Da Arcore alla Sardegna, dalle Bahamas alla Toscana, di quel securo il fulmine tenea dietro alla bandana; scoppiò da Sicilia a Mosca, dall'uno all'altro Zar. Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza: nui abbiam di fronte al Mangano Fattor, che volle in lui del creator suo padrino più vasta orma stampar. La porcellosa e trepida gioia senza ritegno, l'ansia d'un cor che indocile brama, pensando al regno; e il giunge, e diviene un premier ch'era follia sperar; tutto ei provò: la gloria maggior dopo l'Alfano, la fuga e la vittoria, la reggia al tristo Nano; due volte nella polvere, due volte sull'altar. Ei si nomò: due secoli, l'un contro l'altro armato, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe' Kakà, e con l'arbitro s'assise vicino a Pato. E riapparve, e i dì dell'ozio chiuse in sì brava ronda, segno d'assenza d'accidia e d'avidità profonda, d'inestinguibil odio e d'indomato amor. Come sul capo al naufrago l'onda s'avvolve e pesa, la chioma su quel misero, bruna pur dinanzi e tesa, scorrea col ceron a scendere, Prodi remote invan: che su quell'alma il cumulo delle memorie scese. Oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, e sulle fraterne pagine cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d'un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e nei dì che furono assalse il sol dell'avvenir! E ripensò le mobili tende, e le percosse valli, e Bertolaso co' manipoli, e l'onda dei Gasparri, e il concitato imperio e il celere ubbidir. Ahi! forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma il G8 venne come man dal cielo, e in più spirabil aere pietoso il trasportò; e l'avvïò, pei floridi sentier della speranza, ai lazzi eterni, al premio che le corna avanzan, dove in silenzio e tenebre un cucù giammai passò. Bello Immortal! benefico Fede ai trïonfi avvezzo! Scrivi ancor questo, allegrati; ché più superba bassezza al disonor del Quirinale giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il PDL che atterra e suscita, che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò.

Testo originale : QUI

Vignetta di Vauro

Commenti

Stefi ha detto…
Geniale!!! Complimenti!!
Sei poeticamente Vauresco!
In questo modo ci si riavvicina volentieri alla poesia!:-)
Ciao
Stefi
ps passoparola..
Giò ha detto…
forte
davvero
Unknown ha detto…
bel post! molto vero e affascinante!

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